Secondo quanto affermano gli ultimi dati elaborati dall’Eurostat, è tornata al 2 per cento, nel mese di febbraio, l’inflazione europea: si tratta, a suo modo di vedere, di un risultato storico, visto e considerato che è la prima volta da 4 anni a questa parte che il dato si riporta in linea con il target della Banca Centrale Europea.
Attenzione, però, a non cedere a facili entusiasmi. Appare infatti evidente come il movimento al rialzo dei prezzi (1,8 per cento secondo quanto riferisce il dato di gennaio) appare però legato alle componenti più volatili, con forti incrementi dell’energia (0,11 punti percentuali sull’indice finale) e dell’aggregato di alimentari, alcolici e tabacco (0,14 punti percentuali).
Secondo le stime dell’istituto monetario guidato da Mario Draghi, il livello raggiunto nel corso del mese di febbraio rappresenta il picco di questa fase di rialzo. Ne consegue che nei prossimi mesi dovrebbero venire meno gli effetti base favorevoli derivanti dal confronto con i prezzi dello stesso periodo del 2016 e, pertanto, è possibile attendersi un’inflazione in grado di intraprendere una fase discendente.
Peraltro, proprio a conferma del fatto che le pressioni al rialzo rimangono limitate alle componenti più volatili, sia sufficiente dare uno sguardo al CPI core, che ha segnalato una crescita stabile allo 0,9 per cento su base annua per il terzo mese consecutivo in febbraio, mentre l’inflazione per i servizi ha visto solo una marginale accelerazione da 1,2 per cento a 1,3 per cento anno su anno. A livello nazionale il rialzo è guidato dall’indice tedesco (2,1 per cento) e da quello italiano (1,6 per cento) mentre rallenta l’inflazione francese (1,4 per cento) ed è stabile quella spagnola (3,0 per cento).
Dati positivi ma che, in fin dei conti, non dovrebbero essere suscettibili di modificare l’attuale politica monetaria della BCE.